PersoneInnovazione

Design Impact: un approccio people&community per guidare l’innovazione e la crescita

by Cristina Favini Co-Founder e Chief Design Officer di Logotel
26 giugno 2024
6 min
26 giugno 2024
6 min

Design Impact: un approccio people&community per guidare l’innovazione e la crescita

Abbiamo bisogno di realizzare a aumentare la scala degli impatti delle PMI con e attraverso servizi e soluzioni di nuova generazione per una nuova generazione di sfide.

Fare rete è la vera sfida per crescere nel contesto che abitiamo. Le strade di crescita lineari infatti sbandano di fronte alla portata delle trasformazioni in corso e alle accelerazioni repentine che abbiamo di fronte, perché guardano in maniera isolata ai problemi che abbiamo di fronte, anziché pensare agli impatti positivi che vogliamo generare: sulle nostre persone, sul business, sull’organizzazione e sui mercati nei quali agiamo. Le imprese hanno un’offerta di prodotti e soluzioni che evolvono verso “servizi” la cui “esperienza estesa” avviene in molteplici ambienti fisici e digitali dentro ecosistemi distribuiti. Tutto ciò richiede il coinvolgimento di reti di persone (e agenti AI), nelle diverse dimensioni della catena del valore: dalla produzione, alla distribuzione, alla vendita e assistenza, fino alla rigenerazione in ottica circolare.

Come fare Impatto?

Come continuare a EsserCI come imprese, aumentando la capacità di reagire ed evolvere velocemente? Come scambiare esperienze, conoscenze e competenze con clienti e persone e comunità per aumentare gli impatti positivi nelle comunità che abitiamo, nelle quali lavoriamo e agiamo?

Da questo punto di vista ci è utile l’impact design, il metodo con cui in Logotel affrontiamo le nostre progettualità con un approccio people & community driven. L’impact design parte sempre dall’individuazione di cosa è rilevante e significativo per clienti, persone, collaboratori e comunità; dalla definizione degli impatti, immaginando nuove soluzioni, creando contesti e accompagnando le trasformazioni nel quotidiano attraverso l’ecosistema reticolare di un’impresa.

Partendo da questa prospettiva, possiamo dare una prospettiva inedita ai problemi. E, infatti, le eccellenze delle nostre PMI non sono oasi nel deserto, si fondano su legami con i territori, interazioni con i propri collaboratori, con i propri clienti, altre imprese e fornitori con scuole e istituzioni, dialoghi positivi – che diventano sinergie – con altre realtà. Le organizzazioni che lavorano con quest’ottica vengono chiamate “imprese coesive” nel report Coesione è competizione di Fondazione Symbola e crescono fino al 30% in più rispetto alle aziende che agiscono in maniera isolata, contando solo sulle proprie forze.

È un dato che viene confermato da molti osservatori, ad esempio, quello sull’innovazione digitale delle PMI del Politecnico di Milano e da quello di Deloitte Private che indica come quando le piccole e medie imprese attivano e coltivano un ecosistema, liberano potenzialità di crescita.

Cosa significa in concreto? Una prospettiva di rete può dare risultati concreti in due grandi sfide trasformative. La prima riguarda la mancanza di competenze e i mismatch tra bisogni di mercato ed esigenze delle imprese. Sono fenomeni noti, ma non possono essere risolti a livello delle singole imprese. La fonte del Politecnico di Milano, per esempio, fa notare come un grande bacino di skill qualificate provenga da iniziative come Scuola 4.0 e dalle nuove ITS Academy, in cui apprendistato e formazione convergono in percorsi di formazione e crescita. Ma si tratta di possibilità ancora sottoutilizzate, che quindi hanno bisogno di visione e progettualità. La seconda riguarda la sostenibilità e il report Deloitte Private suggerisce che, quando si sviluppa un ecosistema in cui scambiare buone pratiche e attivare collaborazioni di filiera in ottica circolare, si ottimizzino i costi e si arrivi più velocemente verso un obiettivo comune. Dialogare con il territorio e le reti sociali, inoltre, permette di ascoltare i bisogni reali e generare benefici concreti per i territori che – come imprese – abitiamo tutti i giorni. E facilitare quindi il raggiungimento di quegli “obiettivi di beneficio comune” legati alla sostenibilità ambientale e sociale che vengono sempre più apprezzati dalle nuove generazioni di persone che potranno lavorare con noi, dai clienti che potranno sceglierci e dagli investitori sempre più sensibili ai temi ESG.

Ma come si sviluppano servizi, ambienti “estesi” con e in reti coese?

Come si creano le condizioni che ne fanno espandere l’ecosistema e la sua la scala? E come lo si anima ogni giorno, per trasformare una progettualità in azione? Tutto ciò non accade spontaneamente, va progettato con cura: va progettato e realizzato non solo “COSA” e il “COME” scambiamo ma anche il “PERCHÉ”. Vanno valorizzati gli scambi di valore tra tutti gli attori coinvolti, va visualizzata l’utilità e la rilevanza per i singoli individui, per le organizzazioni che ne fanno parte e per il territorio coinvolto.

Va progettato e realizzato non solo “COSA” e il “COME” scambiamo ma anche il “PERCHÉ”.

Per Logotel questi ecosistemi hanno la forma di comunità trasformative. Le comunità fanno fare qualcosa che altrimenti non saremmo in in grado di fare da soli. Nutrono percorsi che fanno evolvere comportamenti collettivi. Sono reti del “dare e del ricevere” che generano motivazioni relazionali verso uno scopo comune. 

Potremmo chiamare il nostro sguardo un punto di vista informato, perché – come Logotel – ci consideriamo prima di tutto una comunità che, attraverso il proprio business, anima altre comunità.

Nella nostra storia abbiamo raccolto testimonianze di chi usa una business community da più di 23 anni per lavorare tutti i giorni imparando; di chi – appena entrato in un’organizzazione, grazie a una community di pratica, non si sente solo; di chi sta facendo evolvere il proprio mestiere con l’AI grazie al contributo continuo dei colleghi; di chi partecipando a una community di interesse riceve supporto pratico anche da team coinvolti in altre funzioni, ma pronti a dare suggerimenti su come fare meglio il proprio lavoro; e, infine, di persone e organizzazioni diverse che si federano in una community di community per fare una rete. Perché lo fanno? Perché per Essere abbiamo bisogno dell’altro, ricerchiamo utilità nello scambio, abbiamo bisogno di esprimerci in un contesto sicuro, abbiamo bisogno di sapere che il nostro contributo ha un valore, di sapere che ciò impariamo ci servirà in futuro. Ecco perché crediamo che riconoscerci insieme su qualcosa di significativo – cioè essere comunità – è vitale per persone e per le imprese.

Far accadere tutto ciò non è una procedura, richiede una visione completamente diversa, come abbiamo raccontato nell’ultimo numero di Weconomy, l’osservatorio di ricerca Logotel che ha provato a sistematizzare le dimensioni trasformative con cui le comunità impattano sulle organizzazioni.

Unendo i punti di vista di 42 esperti e incrociando discipline che vanno dall’economia, alla psicologia, fino al design e l’innovazione, sono emersi alcuni punti chiave che possiamo condividere in questo articolo.

  1. Sviluppare una doppia prospettiva, people & community driven: focalizzata sulla persona, ma anche sulle comunità, intese come organizzazioni, filiere, ecosistemi produttivi. La doppia prospettiva ci permette di progettare servizi di nuova generazione che tengono in considerazione le motivazioni per realizzare lo scambio e sostenerlo nel tempo.

  2. Progettare con e per le comunità il centro di gravità. È un lavoro di sense making, per rendere concreti i linguaggi, i valori e i vissuti, che fanno convergere le persone intorno a un progetto o una sfida comune. È questo il perimetro che innesca una progettualità people & community driven. Dare forma al collante, a ciò che è davvero rilevante per le persone e per la comunità e chiedersi: quale impatto si vuole generare? È una dimensione dove fin da subito è necessario alimentare un ascolto partecipato e interpretare i bisogni per esplicitare quelli emergenti e individuare ciò che unisce e separa le persone, la comunità; ciò che è rilevante, ciò che è motivante e utile per le persone, le sub comunità e per la comunità nel suo complesso. Da progettisti e maker sappiamo che oltre all’ascolto, all’esplorazione e all’interpretazione è necessaria anche una buona dose di immaginazione per progettare soluzioni creative migliorative e belle per innescare, “situare” e rendere tangibile la vita delle persone della e nella comunità.

  3. Costruire contesti che creano esperienze che abilitano. Nelle comunità trasformative la concretezza non basta. Il senso e il linguaggio condiviso devono essere resi tangibili e condivisibili. Perché i partecipanti possano viverlo e modificarlo, in una dimensione perennemente adattiva ed evolutiva. Progettare e fare il design di rituali collaborativi dà vita alla “scansione temporale”, aumenta la frequenza dello scambio, favorisce la creazione di occasioni e di interazione e supporta il confronto. Punteggia la collaborazione. Ha l’obiettivo di moltiplicare le occasioni di incontro informali che nutrono l’empatia tra persone. Realizzare unità di esperienze, contesti e ambienti di relazione ibridi fisico/digitali, di cui tutte le persone “prendono possesso” per esprimersi liberamente.

  4. Animare, nutrire e moltiplicare le interazioni e le condivisioni. Le comunità trasformative sono luoghi di azione. Tanto i progettisti quanto i partecipanti si supportano a vicenda: al momento giusto, con le giuste modalità. Le comunità trasformative hanno bisogno di un gruppo di persone che a volte noi chiamiamo con diversi nomi, da progettisti a community builder a regia, che sono al servizio e sono dentro la vita della comunità. Un gruppo di persone che osserva, raccoglie feedback, anche il dissenso è prezioso per comprendere la salute e facilita, supporta lo scambio, stimola la community e aiuta a farla evolvere.

Perché tutto ciò dovrebbe interessarci? Perché siamo nel tempo giusto per fare la differenza, mentre qualunque ricetta lineare e preconfezionate non funziona, come abbiamo accennato all’inizio di questo articolo. Pensare le nostre imprese come comunità da progettare, abilitare, nutrire tutti i giorni, e come parte comunità più grandi con cui entrare in relazione è un modo per costruire il senso di un nuovo percorso di crescita. Un percorso progettuale in grado di resistere agli strappi e i mutamenti di un contesto ancora fragile e di dare forma a una prospettiva migliorativa verso il futuro che vogliamo costruire, e non quello che potremmo subire. verso il futuro che vogliamo e non quello che potremmo subire.

CORRELATI

Il successo delle imprese parte dalle persone

Iscriviti alla newsletter

MULTI

FOLLOW US

© 2023 Multi-Consult S.r.l.
Iscrizione CCIAA di Bergamo R.E.A N278809/ Capitale Sociale Euro 10.200,00/ P.IVA 02303740167