Strategie per promuovere una cultura inclusiva nelle PMI
Strategie per promuovere una cultura inclusiva nelle PMI
Sono Manuela Faravelli, mi sono occupata per tanti anni di sviluppo in ambito HR, oggi sono una consulente e quindi supporto le imprese nella definizione di processi di sviluppo un po' a 360 gradi.
Perché promuovere una cultura più inclusiva?
Le ragioni per cui orientarsi verso una cultura più inclusiva e migliorare l'equilibrio di genere sono molteplici. Prima di tutto una ragione etica, direi. L’uguaglianza, o l'equità più che uguaglianza, è un concetto etico.
Secondo ci sono delle ragioni economiche e di business, le aziende che hanno maggiore equilibrio non solo ai vertici ma anche nelle compagini manageriali, hanno una redditività migliore, addirittura del 19% in più. Redditività e innovazione.
Anche dal punto di vista proprio delle scelte dei consumatori, è provato che i consumatori tendono a scegliere e privilegiare le aziende che comunque rispettano un equilibrio, hanno al loro interno politiche o comunque strutture che sono più equilibrate e rispettano le differenze e le diversità. Terzo motivo, non meno importante, è un motivo di reputazione. Reputazione cosa vuol dire? Reputazione vuol dire essere riconosciuti e, ad esempio, migliorare il proprio employer branding.
I consumatori tendono a scegliere e privilegiare le aziende più equilibrate, che rispettano le differenze e le diversità.
Oggi soprattutto i giovani sono molto attenti alle tematiche sociali, di conseguenza è più facile che scelgano aziende che hanno al loro interno politiche e comunque un maggiore equilibrio fra i generi rispetto ad aziende che invece non ce l'hanno. Ma non solo, sicuramente anche da un punto di vista proprio di essere riconosciuti a livello di mercati.
E quindi anche un più facile e maggior accesso al credito per esempio, soprattutto alle piccole e medie imprese che spesso sono inserite in filiere, appunto, di fornitura rispetto ad altre aziende, quindi sicuramente la reputazione che poi mi permette anche di avere accesso a canali diversi che siano la scelta delle persone o essere scelto appunto come fornitore sicuramente sono facilitate dal fatto che ci sia maggiore equilibrio all'interno dell'organizzazione.
Ultima direi in ordine ma non meno importante un'evoluzione continua della normativa, che porterà nel 2026 anche le piccole e medie imprese quotate a dover rendicontare di sostenibilità e sicuramente il genere è uno degli indicatori importanti, ma che andando avanti probabilmente questa normativa diventerà sempre più stringente e coinvolgerà sempre di più aziende anche di piccole, medie dimensioni.
Gli ostacoli verso una politica inclusiva
Queste sono le ragioni fondamentali. Quali sono però gli ostacoli? Innanzitutto direi un ostacolo culturale. La diversità è sicuramente un valore, ma da sempre la diversità spaventa. E quindi che parliamo di diversità di genere o di altri tipi di diversità, perché a me piace parlare di cultura inclusiva in qualche modo, sicuramente spaventa, e non lo fa solo a livello aziendale organizzativo.
La diversità è sicuramente un valore, ma da sempre la diversità spaventa.
A livello di educazione, quindi proprio di formazione, in Italia abbiamo più donne laureate che uomini, circa il 60% dei laureati sono donne, tendenzialmente anche con voti migliori, ma se andiamo a vedere quelle lauree in ambito scientifico, cosiddette STEM, la proporzione si inverte solo il 40% delle donne laureate in materie scientifiche sono donne.
Questo cosa vuol dire? Che in una società dove le organizzazioni cercano sempre di più professionalità, anche tecniche e tecnologiche - perché la digitalizzazione e l'avvento dell'intelligenza artificiale sono dei temi importanti e delle sfide importanti - ovviamente l'accesso al mercato diventa più difficile perché trova un bacino che è più ristretto.
Quindi sicuramente c'è un ostacolo culturale, che si riflette appunto anche nelle organizzazioni. E quindi le organizzazioni partono dalla cultura ma hanno anche a volte difficoltà poi a mettere in piedi dei processi e delle strutture perché partono da un mercato che magari non offre quello che cercano e perché al loro interno, frutto di una cultura ormai decennale, fanno fatica a identificare delle strategie.
E parlando ancora una volta di piccole e medie imprese, spesso quello che è un punto di forza, cioè l'imprenditore, che è molto anche fiero, orgoglioso della sua storia, di come ha costruito la sua azienda, fa più fatica ad accettare che il mondo è cambiato e che quindi alcune regole all'interno, ad esempio la flessibilità, sono importanti per favorire l'accesso alle donne ma anche ai giovani che oggi hanno un concetto del lavoro molto diverso.
Spesso è proprio l’imprenditore che fa più fatica ad accettare che il mondo è cambiato.
Quindi partiamo dalla cultura e si riflette poi sui processi organizzativi da lì la difficoltà a fare il passo.
Come rendere più inclusiva la propria azienda
La prima cosa, e qui aggiungo anche in che modo poi la consulenza può aiutare le aziende. Può aiutarle a identificare degli indicatori e a leggerli in maniera critica anche, perché ovviamente, se mi pongo degli obiettivi, devo porli coerentemente col punto di partenza, parlare di equilibrio di genere inteso come 50% se parto da zero non ha senso.
Devo capire a che punto sono, dove sono le eventuali difficoltà e cosa posso iniziare a fare per colmare il gap o comunque per avvicinarmi a degli obiettivi che sono anche ragionevoli perché altrimenti è tale la distanza che non mi impegno nemmeno, no? Quindi da un lato analizzare i dati e essere supportati, dall'altro definire dei processi.
Devo capire a che punto sono e cosa posso iniziare a fare per raggiungere gli obiettivi.
Anche qui la consulenza può aiutare le aziende, soprattutto quelle piccole, a definire dei processi anche non particolarmente complessi, ma che aiutino appunto questo progresso, dai processi di selezione ai processi di crescita all'interno dell'organizzazione.
Un altro elemento è quello della formazione e della comunicazione. La comunicazione è importante non solo per aumentare la consapevolezza ma proprio per far sì che nelle aziende si usi un linguaggio che favorisce questo cambiamento culturale, perché poi la cultura passa attraverso il linguaggio.
E non ultimo (lo metto per ultimo perché poi possiamo svilupparlo un po') la formazione. Perché sicuramente i comportamenti individuali fanno la differenza, al di là delle politiche, che sono importanti, al di là dei processi, che sicuramente aiutano e guidano, ma poi quello che fa la differenza sono i comportamenti, quindi la capacità di valorizzare gli individui per le loro competenze, per quello che possono apportare e non per il genere o per l'appartenenza a una determinata classe anche di età o di esperienza.
L’impatto della leadership e la cultura del feedback
Sicuramente i comportamenti dei leader, lo stile di leadership, ha un impatto forte sulla cultura aziendale. Spesso i leader vengono presi come role model e quindi i comportamenti anche individuali di chi rappresenta la leadership di un'azienda sono fondamentali. Non solo dei leader, ma anche di chi ha delle responsabilità sulle persone.
Innanzitutto imparando e mettendo in atto delle modalità di valutazione che siano il più possibile oggettive. Quindi questo poi può essere sostenuto anche dall'utilizzo di strumenti e dall'utilizzo di processi. Ma se io valuto le persone per i loro comportamenti rispetto a delle aspettative a quel punto che siano uomini, donne, giovani o di mezza età, influenza molto meno poi il mio giudizio finale. Quindi imparare a valutare le persone osservando comportamenti.
L'altro aspetto è sicuramente quello del feedback, quindi un'azienda in cui viene coltivata una cultura del feedback, perché il feedback aiuta anche le persone a identificare in che modo possono crescere e possono essere adeguate rispetto alle aspettative dell'azienda.
Il feedback aiuta le persone a identificare in che modo possono crescere
Allora anche in questo caso a prescindere dal genere, a prescindere da altre caratteristiche, se mi viene detto chiaramente che cosa posso fare per raggiungere determinati obiettivi, ho più probabilità poi di raggiungere quei traguardi.
Che cosa mi può offrire questa azienda, che cosa vorrei fare io, che cosa ti serve per arrivare là. Quando parliamo di feedback fondamentalmente parliamo di questo. Questa è sicuramente una cultura dove il feedback non va visto come un'etichetta da mettere alle persone, come uno stigma o come qualcosa di spaventoso, ma che deve essere promosso e bisogna imparare a dare proprio come uno strumento di sviluppo individuale e organizzativo.
Il feedback non va visto come un’etichetta, ma uno strumenti di sviluppo individuale e organizzativo.
E qui sicuramente la formazione, e quindi anche il supporto poi che si può dare ad un'azienda, possono fare grandi cose, perché sicuramente la cultura si cambia anche attraverso i comportamenti ma alcuni comportamenti si possono acquisire. Posso imparare a valutare in maniera più oggettiva, posso imparare a dare dei feedback costruttivi e di sviluppo, a prescindere poi dalle mie caratteristiche individuali.
Una cultura per l'inclusione a misura di PMI
Ovviamente la portata dell'intervento può essere diversa, forse sulle piccole e medie imprese è più facile lavorare offrendo degli strumenti che permettano di rendere più oggettiva ad esempio la valutazione in fase di selezione o anche in fasi più avanzate, lavorare sulla comunicazione e sui comportamenti individuali, processi particolarmente complessi sono meno adatti a un'azienda di piccole, medie dimensioni.
Penso a grandi multinazionali che ad esempio utilizzano, oltre alle valutazioni individuali, sistemi di cosiddetta calibrazione ad alti livelli, che io non mi sentirei di suggerire. In una piccola impresa dove bene o male si conoscono un po' tutti non è necessario, però sui comportamenti individuali e sull'utilizzo di strumenti sicuramente si può fare molto, anche in un'impresa piccola. Io credo però che la vera chiave sia quella, soprattutto in una piccola media impresa, di portare a bordo i vertici e l'imprenditore.
La chiave è portare a bordo i vertici e l’imprenditore.
Quindi aiutare l'imprenditore a comprendere il valore non solo da un punto di vista etico, perché magari fino a lì ci arriva, ma anche da un punto di vista economico, finanziario e di reputazione.
Quindi un grande lavoro che può essere fatto con le piccole e medie imprese dalla consulenza è proprio quello di portare evidenze e dati e aiutare questa riflessione. Dopodiché, da lì si può scendere con interventi che sono strumenti, formazione, comunicazione. Però partirei proprio da lì, che è vero in tutte le aziende ma è soprattutto vero laddove poi il ruolo di chi si occupa ad esempio di risorse umane è molto influenzato dalla cultura poi dell'imprenditore.
L’importanza delle tematiche ESG per il mercato
L'attenzione verso le tematiche ESG è sempre più alta, è un tema sempre più sentito anche dai giovani e aiutano un'azienda ad essere attrattiva. Molte piccole e medie imprese oggi si trovano proprio in una fase di ricambio generazionale, e per attrarre anche talenti delle generazioni più giovani, è importante posizionarsi come un'azienda che ha attenzione a determinati temi.
Sicuramente il tema di genere è ancora molto attuale perché i numeri dimostrano. In Italia noi siamo al 79° posto nelle classifiche di una maggiore equità, ma sicuramente i dati che citavo all'inizio sono molto importanti e lo sono per tutte le imprese.
L’Italia è solo al 79° posto nelle classifiche che valutano l’equità di genere.
Appunto essere appetibili sul mercato ma anche l'accesso al credito, l'accesso ai finanziamenti, che per le piccole e medie imprese è molto importante, passa spesso attraverso l'essere lette come aziende che sono anche inclusive, che quindi hanno un'attenzione alle tematiche sociali e sicuramente l'equità di genere è una tematica sociale molto importante. Oggi in particolar modo, perché c'è tanta attenzione di nuovo su questo tema, per fortuna direi.
Quindi questo passaggio è quello ancora da fare, su cui sostenere appunto gli imprenditori, perché dire che appunto il buon senso mi fa dire è cosa buona e giusta, dare a tutti la stessa opportunità. Diverso è capire che ho un vantaggio competitivo, allora lì magari si smuove qualcosa perché chi fa impresa giustamente, se no non avrebbe ragione d'essere, pensa anche alla profittabilità, ma questa profittabilità deve essere sostenibile nel tempo.